Tra il X ed il XII secolo, in Italia si svilupparono moltissime abbazie medievali, delle vere e proprie piccole città fortificate come l’Abbazia di Fossanova. Situata vicino Priverno, nel Lazio, non solo è famosa per il suo perfetto stato di conservazione, ma soprattutto per aver ospitato per moltissimi anni Tommaso d’Aquino, uno dei più grandi filosofi della cristianità.

Con la caduta dell’Impero Romano e l’abbandono graduale della città di Privernum, vi furono alcuni secoli di spopolamento ed abbandono delle campi e delle culture agricole. Verso il X secolo, si ricominciarono a formare dei punti di aggregazione sociale e culturale intorno ai monasteri, unici centri in cui si conservavano la cultura e le tecniche artigianali.

I campi abbandonati si trasformarono in latifondi gestiti dai monaci, unici allora a conoscenza delle tecniche agricole e di come si lavoravano i prodotti ottenuti costruendo frantoi (per l’olio), mulini (per la farina) e cantine (per il vino). I nuovi beni portarono ricchezza e la ricchezza portò lavoro. I monasteri crebbero di dimensione divenendo delle Abbazie, riempiendosi di ricchezze, di arte e di manovalanza (i conversi) proveniente dai vicini centri abitati.

L’Abbazia di Fossanova, fu chiamata così per il nome della vicina frazione di Fossa Nova di Priverno. Dal X fino al XV secolo ebbe un notevole sviluppo, arrivando a gestire un territorio molto esteso. Poi con la fine del medioevo, le forme economiche cominciarono a cambiare in Italia e le forme feudali come le Abbazie diminuirono di importanza. Nel XIX secolo, tutta la tenuta di Fossanova, che comprendeva anche l’abbazia, fu acquistata dai principi Borghese.
Gli edifici per il lavoro ed i conversi
Tutte le abbazie, compresa l’Abbazia di Fossanova, per come erano strutturate, erano dei microcosmi autosufficienti, dove monaci e conversi producevano in proprio praticamente quasi tutto ciò di cui avevano bisogno. I conversi, pur vestendo abiti da frate, non avevano mai formulato i voti religiosi, ma svolgevano nell’abbazia le funzioni più umili. Questa categoria di persone costituivano la vera forza lavoro dell’abbazia, ed era una condizione molto comune all’epoca, dato che tante persone illetterate trovavano rifugio e sostentamento in questi luoghi.

Quindi entravano a far parte del complesso abbaziale, edifici adibiti ad officine, granai, ricoveri per animali, frantoi, mulini e depositi di derrate alimentari. Passeggiando così all’interno dell’abbazia di Fossanova, si possono incontrare moltissimi edifici per il lavoro, che con alcune strade interne, porta a farla assomigliare ad una struttura urbana tipo un piccolo paese.

Entrando dall’ingresso secondario, un portone incassato in una torre sui resti di quella che era la cinta muraria, si incontrano gran parte degli edifici del lavoro, in particolare un lungo edificio rosso, originariamente un granaio, oggi profondamente alterato per essere trasformato in un palazzo residenziale (lavori del XIX secolo).
La chiesa di Santa Maria
Nella parte centrale del complesso abbaziale vi è la Chiesa di Santa Maria, Questo imponente edificio fu costruito insieme al resto del complesso abbaziale negli anni compresi tra il 1163 ed il 1208, anno in cui venne consacrata. Lo stile della chiesa è quello che si potrebbe definire primo gotico italiano, dato che sono presenti ancora alcuni richiami allo stile romanico.

La facciata rivela le trasformazioni avvenute nel corso dei secoli. Si vede chiaramente che il rosone ed il portale sono opere aggiuntive in sostituzione di quelle precedenti (colorazione gialla). La facciata originale è invece realizzata, come il resto della chiesa, in calcare bianco, ed è ripartita in tre ordini principali, scanditi dalla cornice di tipo borgognone presente anche all’interno.

Nel piano intermedio si apre il rosone, sormontato da un frammento scultoreo, proveniente dalla rosa centrale. Dal centro si diramano ventiquattro colonnine binate, coronate da capitelli a crochet (a uncini), sui quali si impostano archi intrecciati. Il rosone, con le sue dimensioni imponenti, spezza la sottostante cornice marcapiano, inserendosi a forza nello spazio della facciata. Esso sostituì probabilmente un’apertura precedente di dimensioni inferiori.

Anche il portale, come il rosone, si evidenzia come elemento inserito successivamente su un progetto di un portico cominciato a costruire ma mai completato. La somiglianza dei suoi capitelli con quelli della chiesa di San Giovanni in Toro a Ravello (XII sec) ha suggerito il coinvolgimento di maestranze campane. La lunetta, alterata nel primo Novecento, presenta una decorazione musiva cosmatesca, a dischi e losanghe.

Secondo una tradizione settecentesca mai accertata vi si trovava la seguente iscrizione: “Fridecus I imperator semper augustus hoc opus fieri fecit” (Federico I imperatore, sempre augusto, fece realizzare quest’opera). Si è perciò ipotizzata a lungo una committenza da parte di Federico I Barbarossa (1155-1190), mentre le tangenze con la produzione artistica federiciana hanno fatto supporre un intervento da parte di Federico II di Svevia (1220-1250). Di certo, il portale fu realizzato da maestranze laziale e campane nella prima metà del XIII secolo.

L’interno della chiesa è ampio e luminoso, grazie alla luce proveniente dall’ampio rosone e dalle numerose finestre poste in alto lungo tutta la navata centrale. Quest’ultima si divide da quelle laterali, attraverso due file di pilastri polistili che sorreggono delle volte nervate da archi trasversi. La navata oggi è unica, mentre originalmente era suddivisa in due diversi settori: il coro dei monaci ed il coro dei conversi. La suddivisione consisteva in una barriera di pannelli lignei oggi andati perduti.

Nella parete sinistra del presbiterio vi sono resti di affreschi (San Tommaso con l’ostensorio), ascrivibili a un maestro attivo a Priverno nel XV secolo, mentre nella cappella a sinistra dell’abside si conservano affreschi d’età moderna (XVIII secolo). Nel lato settentrionale del transetto si apre la porta dei morti, che conduceva al cimitero dei monaci.
